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venerdì 7 giugno 2013

L'ombra dell'Africano Maggiore si manifesta a Scipione

Post autem apparatu regio accepti, sermonem in multam produximus noctem, cum senex nihil nisi de Africano loqueretur, omniaque eius non facta solum sed etiam dicta meminisset. Deinde, ut cubitum discessimus, me et de via fessum, et qui ad multam noctem vigilassem, artior quam solebat somnus complexus est. Hic mihi - credo equidem ex hoc quod eramus locuti; fit enim fere ut cogitationes sermonesque nostri pariant aliquid in somno tale, quale de Homero
scribit Ennius, de quo videlicet saepissime vigilans solebat cogitare et loqui – Africanus se ostendit ea forma quae mihi ex imagine eius quam ex ipso erat notior. Quem ubi agnovi, equidem cohorrui; sed ille: “Ades” inquit “animo et omitte timorem, Scipio, et quae dicam memoriae trade.”



Infatti, dopo essere stati accolti da un'accoglienza regale, parlammo per molto tempo durante molte ore della notte. Il vecchio parlando di nient'altro se non dell'Africano e avendo ricordato non solo tutte le sue imprese, ma anche le sue parole. In séguito, non appena andammo a dormire, un sonno più profondo di quanto soleva s'impadronì di me,  sia per il viaggio sia perchè avevo vegliato tutta la notte. Quand'ecco che (credo, a dire il vero, che dipendesse dall'argomento della nostra discussione: accade infatti generalmente che i nostri pensieri e le conversazioni producano durante il sonno un qualcosa di simile a ciò che Ennio dice a proposito di Omero, al quale, è evidente, di solito pensava da sveglio e del quale discuteva) m'apparve l'Africano, nell'aspetto che mi era noto più dal suo ritratto che dalle sue fattezze reali; non appena lo riconobbi, un brivido davvero mi percorse; ma quello disse: «Sta' sereno, deponi il tuo timore, Scipione, e tramanda alla memoria le parole che ti sto per dire».

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